martedì 16 dicembre 2014

La storia di Didone. III parte

Giampietrino, Didone, c. 1520

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La storia di Didone 
III parte


L’amore come colpa o come distrazione
Didone parla con la sorella Anna dicendole quanto l’ha colpita l’eroico troiano accolto come ospite
“…heu quibus ille/iactatus fatis! quae bella exhausta canebat!/ Si mihi non animo fixum immotumque sederet,/ne cui me vinclo vellem sociare iugali,/postquam primus amor deceptam morte fefellit;/si non pertaesum thalami taedaeque fuisset,/huic uni forsan potui succumbere culpae" ( Eneide, IV, vv. 14-20), ahi da quali destini è stato agitato! Quali guerre sostenute narrava! Se nel mio cuore non ci fosse ferma e incrollabile la decisione di non volermi unire ad alcuno con vincolo coniugale, dopo che il primo amore mi ingannò e deluse con la morte; se non mi fossero venute in odio il talamo e le fiaccole nuziali, per questo soltanto forse avrei potuto soggiacere alla colpa.

Commento ai versi 14-20
Heu: quibus ille iactatus fatis: cfr. Otello[1] di Shakespeare:"My story being done,/she gave me for my pains a world of sighs:…She loved me for the dangers I had pass'd, And I loved her that she did pity them " (I, 3), finita la mia storia, ella mi diede per le mie pene un mondo di sospiri…ella mi amò per i pericoli che io avevo passato, ed io l'amai perché ella ne aveva avuto pietà.
"iactatus : cfr. Eneide I, 4:"multum ille et terris iactatus et alto ", egli molto fu sbattuto tra le terre e in alto mare.
-exhausta: da exhaurio  che significa "vuotare", "portare a termine con affanno".-Si mihi non animo fixum[2] immotumque sederet: protasi di un periodo ipotetico della irrealtà.-
taedaeque[3]: la fiaccola è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche i funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia dice :"viximus insignes inter utramque facem" (IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella delle nozze e quella del rogo funebre).
 Tale fax ambigua  si ritrova nei Remedia amoris[4] di Ovidio dove il poeta dice al dio Amore:"non tua fax avidos digna subire rogos (v. 38), la tua fiaccola non si merita di stare sotto i roghi ingordi. Talora la mancanza della fax crea dolore: nel Satyricon Circe spera di avere una relazione con Encolpio soprannominandolo Polieno, come le Sirene avevano chiamato Odisseo (Odissea, XII, 184) per facilitare l'unione con l'espediente scaramantico del nomen omen:"nec sine causa Polyaenon Circe amat: semper inter haec nomina magna fax surgit " (127, 7), non senza motivo Circe ama Polieno: sempre tra questi nomi guizzi una grande scia di fuoco. Invece il povero Encolpio verrà colpito dall'ira di Priapo con grande scorno e dolore degli amanti mancati.

"Nel teatro shakespeariano una fiaccola in scena serve da didascalia, indica che l'azione si svolge di notte (Romeo e Giulietta, atto I, scena 4 "io reggo il candelabro e me ne sto a vedere"). Nel teatro greco la fiaccola contrassegna la festa solenne, il rito, come nelle Eumenidi, v. 1005, nell'Elena, v. 865, nell'Ifigenia in Tauride, v. 1224: e sarà tenuta ben ferma, in alto. Ma può anche essere mossa, venir agitata, connotare uno stato di turbamento e di furore, come nelle Troiane, vv. 308 sgg., quando Cassandra irrompe in scena come una pazza, con tede rituali di nozze"[5]
 -pertaesum…fuisset (sottinteso me). Il piuccheperfetto indica la lunghezza del tempo passato dalla lontananza del talamo nuziale che comunque rimane sempre il mobile più importante della dimora.-culpae: c'è da notare che da Virgilio non viene altrettanto gravato da senso di colpa l'amore omosessuale: Niso ardeva per il bell' Eurialo "amore pio " (Eneide , V, 296) di un amore santo. 
Didone era una donna libera, non stava scivolando verso un adulterio, ma "Le vedove in Roma, pur essendo loro concesso dalla legge un nuovo matrimonio, ritenevano degno d'onore mantenersi univirae, cioè donne che avevano un solo marito"[6].
Il fatto che, uomini e donne,  si accontentino di un solo coniuge corrisponde  al costume antico dei Romani secondo quanto racconta Valerio Massimo[7]:"Quae uno contentae matrimonio fuerant, corona pudicitiae honorabantur. Existimabant enim eum praecipue matronae sincera fide incorruptum esse animum , qui, depositae virginitatis cubile egredi nesciret, multorum matrimoniorum experientiam quasi legitimae cuiusdam intemperantiae signum esse credentes. Repudium inter uxorem et virum a condita urbe usque ad centesimum et quinquagesimum annum nullum fuit " (Factorum et dictorum memorabilium, II, 1, 3), quelle che si erano accontentate di un solo matrimonio venivano onorate con la corona della pudicizia. Consideravano infatti che fosse in particolare puro per schietta fedeltà l'animo di una matrona che non sapesse uscire dal letto dove aveva lasciato la verginità, poiché credevano che l'esperienza di molti matrimoni fosse segno di una per così dire legittima sfrenatezza. Non ci fu nessun divorzio tra moglie e marito dalla fondazione di Roma per centocinquant'anni.
Anche per gli uomini romani unum matrimonium è motivo di lode: Tacito fa l'elogio funebre di Germanico, morto avvelenato in Siria da Pisone nel 19 d. C.,  riportando l'opinione di chi lo anteponeva ad Alessandro Magno: avevano in comune il bell'aspetto, la stirpe nobile, la morte precoce tra genti straniere dovuta a insidie familiari, "sed hunc mitem erga amicos, modicum voluptatum, uno matrimonio, certis liberis egisse " (Annales , II, 73), ma questo era stato gentile con gli amici, temperante nei piaceri, sposato con una sola donna, con figli legittimi.  
Questi dunque erano gli antiqui mores al cui ripristino Virgilio voleva  contribuire.
Fine commento vv. 14-19

Didone aggiunge che dopo l'assassinio di Sicheo, perpetrato da Pigmalione, solo Enea ha scosso i suoi sensi e ha colpito l'animo in modo da farlo vacillare:"Adgnosco veteris vestigia flammae " (v. 23), riconosco i segni dell'antica fiamma.  Se ne ricorderà Seneca nella Medea, la cui nutrice, vedendo la furia della moglie tradita, fa:"irae novimus veteris notae " (v. 394), conosco i segni dell'antica ira; quindi Dante mettendone una traduzione letterale nel Purgatorio: "conosco i segni dell'antica fiamma" (XXX, 48).
Ogni autore conosce la tradizione e se ne avvale come base aggiungendo del suo. Così l'edificio cresce.
Dare retta a un impulso amoroso viene vissuto dalla regina come  una violazione del pudore (Pudor, v. 27) considerato al pari di una divinità la cui offesa sarebbe meritevole di morte: una punizione che la "spudorata" si infliggerà da sola.
"Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat,/vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras,/pallentis umbras Erebi noctemque profundam,/ante, Pudor, quam te violo aut tua iura resolvo./Ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores/abstulit; ille habeat secum servetque sepulcro". Sic effata sinum lacrimis implevit obortis " (vv. 24-30), "ma  vorrei che la terra mi si spalancasse dal fondo, o che il padre onnipotente mi precipitasse con il fulmine tra le ombre, le pallide ombre dell'Erebo e nella notte profonda, prima che io ti profani Pudore o che sciolga le tue leggi. Quello che per primo mi congiunse a sé, portò via i miei amori; quello li abbia con sé e li conservi nella tomba". Così avendo detto riempì il seno di lacrime sgorgate.
-Pudor:"Pudor  (è) senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia  era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia  la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia "[8]. Orazio nel Carmen saeculare [9] celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[10], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.
Valerio Massimo nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas[11]", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culti, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.

Viceversa Ovidio, in polemica libertina con il regime augusteo vuole scacciare il pudore che deve cedere il posto all'audacia suadente:" Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat "(Ars amatoria I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.
 Anna cerca di convincere la sorella a liberarsi dagli scrupoli vedovili:" Anna refert:" O luce magis dilecta sorori,/solane perpetua maerens carpēre iuventa/nec dulcis natos, Veneris nec praemia noris?/id cinerem aut manis credis curare sepultos?" (vv. 31-34), Anna risponde: o tu che alla sorella sei più cara della luce, ti consumerai da sola durante tutta la tua gioventù e non conoscerai i dolci figli, né i doni di Venere?  credi tu che di ciò si curino le ceneri o i mani sepolti?.-luce: ablativo di paragone.-carpēre: futuro passivo=carperis.-perpetua…iuventa: ablativo di tempo.-dulcis= dulces. -Veneris nec praemia noris (forma sincopata da noveris): ho tradotto praemia con "doni " ricordando i "dw'r' ejrata; ... crusevh"  jAfrodivth"" gli amabili doni dell'aurea Afrodite che un altro fratello, Paride, chiede al fratello Ettore di non disprezzare (Iliade, III, 64).-manis=manes. Essi sono le anime dei morti, letteralmente "i buoni". Ma questa denominazione, osserva G. De Sanctis, deve considerarsi eufemistica "perché con gli estinti, con qualunque nome si venerino, non si vuol mai stare troppo a contatto"[12].-
 L'ultimo verso viene citato in funzione esortativa e con effetto parodico  nella fabula Milesia[13] del Satyricon dall'ancella della matrona di Efeso quando vuole minare l'ostinazione della padrona che nelle prime ore della vedovanza si rifiuta di prendere perfino il cibo. L'ancilla dunque cita l'Eneide :" "id cinerem aut manes credis sentire sepultos?"
vis tu reviviscere? vis discusso muliebri errore, quam diu licuerit, lucis commodis frui? ipsum te iacentis corpus admonere debet ut vivas" (111, 12), tu credi tu che di ciò si curino il cenere o i mani sepolti? vuoi tu tornare alla vita? vuoi, dissipato lo smarrimento da femmina, godere delle gioie della luce il più a lungo possibile? lo stesso corpo del morto deve avvertirti di vivere.
La signora  si lasciò convincere abbastanza presto e anzi si ingozzò di cibo.
Virgilio dunque dà voce agli scrupoli sessuali che trattengono la regina, e alle direttive augustee, mentre la sorella Anna mossa  dal buon senso le consiglia di non opporsi anche a un amore gradito ("placitone etiam pugnabis amori? ", v. 38) e dunque naturale.
Nella fabula Milesia del Satyricon, dove la bella vedova è corteggiata da un soldato, la parodia, il controcanto, procede con l'utilizzazione di quest'altra espressione virgiliana: Nec deformis aut infacundus iuvenis castae videbatur, conciliante gratiam ancilla ac subinde dicente:"placitone etiam pugnabis amori?” (112, 2),  né il giovane appariva brutto o impacciato nell'eloquio alla casta signora, tanto più che l'ancella conciliava l'inclinazione e sovente diceva:" ti opporrai persino a un amore gradito?  Sicchè:"  ne hanc quidem partem corporis mulier abstinuit, victorque miles utrumque persuasit" (112, 2),  neppure questa parte del corpo la donna tenne in astinenza, e il soldato la persuase, vincitore da una parte e dall'altra.
 Simile a quello di Anna è il consiglio della nutrice a Fedra[14] :" ouj lovgwn eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov""[15], tu non hai bisogno di discorsi speciosi ma di quell'uomo, le dice.
Così il tenente Mahler del film Senso di Visconti:"è molto meglio prendersi il piacere dove si trova".
Le proposte delle nutrici spesso sono convincenti quanto quelle dei seduttori di professione:"nutrīcum et paedagogorum rettulēre mox in adulescentiam mores "[16], ben presto i ragazzi riproducono nella giovinezza i costumi di nutrici e pedagoghi.
 "Dal teatro attico, più che da Apollonio, proviene il personaggio di Anna, la sorella della regina, che tiene accanto a lei il posto, press'a poco, di confidente: più che al personaggio, molto scialbo, di Calciope, la sorella di Medea, in Apollonio, Anna fa pensare a Ismene, la sorella di Antigone , nella tragedia di Sofocle o a Crisotemi, la sorella di Elettra , nella tragedia di Euripide: come questi personaggi, ella, pur con tutto il suo affetto e la sua dedizione, resta in fondo estranea al pathos e ai tormenti della sorella e si muove, quindi, in un'atmosfera di umanità più comune e banale che, pur non potendosi dire meschina, resta nettamente al di sotto della sublimità tragica. E' tuttavia significativo che la parte della confidente sia affidata alla sorella della regina, non ad una nutrice, personaggio ben noto al teatro attico"[17].
 La nutrice di Fedra e Anna interpretano eros in maniera metodicamente realistica,  un metodo che del resto viene smontato dal poeta.

giovanni ghiselli

p. s. il blog è arrivato a 200642




[1] Del 1604-1605.
[2] Ci sono parole e sentimenti sprofondati nella mente da dove vanno stanati come un cervo dal suo covo (cfr. Elettra di Sofocle, vv.567-568:"ejxekivnhsen...e[lafon", di Agamennone che stanò la cerva in Aulide). Freud parla di fissazioni al trauma, per le quali esistono appunto persone "fissate a un determinato periodo del loro passato" tanto da "non sapersene liberare" e da essere "perciò estraniate dal presente e dal futuro. Esse sono rinchiuse nella loro malattia". La terapia psicoanalitica "opera trasformando in conscio ciò che è inconscio...la nostra tesi, che i sintomi svaniscono con la conoscenza del loro significato, rimane comunque esatta. Bisogna solo aggiungere che la conoscenza deve basarsi su un cambiamento interiore dell'ammalato" Introduzione alla psicoanalisi, in Freud Opere , vol.VIII, p.435 e ss.
Il Tiresia di Sofocle, al pari di uno psicoanalista moderno, sblocca queste fissazioni (ajkivnhta), anche se è doloroso farlo: nell'Edipo a Colono   il cieco dice:"ajll j ouj ga;r aujda'n hJdu; tajkivnht j e[ph" (v. 624), ma infatti non è piacevole dire le parole immote.
[3] Cfr. greco daivw, "accendo" e da/v" , "fiaccola".
[4] I Remedia amoris, un poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci), appartengono all'ultimo periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa che  arriva al 2 d. C.
[5] U. Albini, Nel nome di Dioniso, p. 112.
[6] Giordano, Piazzi, Tumscitz, Integros accedere fontis , p. 105.
[7] I sec. d. C.
[8]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 373.
[9] Del 17 a. C.
[10] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.
[11] Factorum et dictorum memorabilium libri IX , VI, 1.
[12] Storia Dei Romani, vol. I, p. 303.
[13] La novella licenziosa introdotta nelle lettere latine in età sillana da Cornelio Sisenna che tradusse i Milhsiakavvv di Aristide di Mileto (II sec. a. C.). Appartiene a questo genere la storia della "Matrona di Efeso" ( Satyricon, 111-112). 
[14] Che, con ragioni del resto assai diverse da quelle della regina vedova, lotta contro la propria passione.
[15] Euripide, Ippolito (del 428 a. C.),  vv. 490-491.
[16] Seneca, De ira (del 41 a. C.) II, 21.
[17]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 358.

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