domenica 27 gennaio 2013

La crisi


Krivsi~ (Krísis) in greco significa “giudizio”. Si tratta dunque anche di un’opportunità per riflettere, per giudicare (krivnein krínein). Uno dei “giudizi” più ricordati è quello sulle armi di Achille che spettavano ad Aiace, ma siccome questo guerriero, secondo soltanto al fatato Pelide, era incapace di parlare, il linguacciuto Odisseo convinse i capi dell’esercito ad attribuire la prestigiosa armatura a lui, ingiustamente. Nella Nemea VIII, Pindaro ricorda il torto subito dal grande guerriero a[glwsso~ (v. 24), privo lingua eloquente: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole dell’Itacese.
Il Telamonio allora impazzì e si uccise, come racconta la cara tragedia di Sofocle a lui intitolata. Prima di gettarsi sulla spada, l’eroe che aveva recuperato il senno ma credeva di avere perso l’identità di secondo dell’armata ellenica, dice: “ il nobile deve  vivere con stile, o con stile morire” (v.479).
Comunque alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” (Dei Sepolcri, vv. 221-225). Questo è il giudizio di Foscolo.
Ebbene, ora siamo in crisi, si dice. Credo che questo impoverimento di noi tutti ci offra davvero l’occasione per fare alcune riflessioni e dare qualche giudizio nostro. Un’occasione che va acciuffata poiché essa, come sappiamo, è ben chiomata davanti, ma del tutto calva di dietro.
La prima considerazione è che siamo stati governati a lungo, pur troppo a lungo, da persone inette, ossia inadatte a dirigere una grande nazione: incapaci di prevedere, incapaci di rimediare. Hanno mostrato di avere l’unica capacità di arraffare per sé. Ora è giunto il momento della krivsi~ ( krísis), del giudizio sul loro operato. Il giudice sarà il popolo italiano chiamato a votare: saremo noi tutti, e non dobbiamo astenerci, non dobbiamo sbagliare, altrimenti saremo ancora danneggiati e penalizzati da altri, o dagli stessi personaggi che imperversano sulla scena politica da troppo tempo recitando la farsa di governare e amministrare i beni pubblici.

La seconda opportunità offerta dalla crisi è quella di riflettere se rinunciare ad alcuni consumi sia davvero un male e un danno. E’ certamente male non potersi curare la salute, istruire, nutrire, riscaldare e soddisfare tutte quelle esigenze, materiali e spirituali, che Epicuro chiama “desideri necessari e naturali”.
Ma poi ci sono i cosiddetti “desideri vuoti”, ossia c’è lo spreco di chi sente il bisogno di riempire un vuoto interiore con un eccesso di cibo e bevande, con tanti telefonini, televisori, automobili e così via. L’ideologia vigente, la più diffusa, se non addirittura l’unica, è che il valore dei valori, il valore che avvalora tutti gli zeri successivi è il denaro. Quello che Shakespeare chiama  la "maledetta mota, comune bagascia del genere umano"[1] riceve un vero e proprio culto. La cosa triste è che i sacerdoti più intransigenti di questa orrenda superstizione, quelli costantemente genuflessi davanti all’empio tabernacolo delle banche, gli adoratori più acritici dell’obeso idolo sporco dello spreco, sono i quasi poveri che si vergognano della loro situazione sociale e vogliono apparire ricchi, e imitano i ricchi, e votano i politici al servizio dei ricchi.
Si indebitano per mandare i figli a scuola, di vela magari, come pensano che facciano i figli dei “signori”.
Conosco persone, dei poveretti, che lamentano di non avere denaro per i libri, per il ticket dei farmaci e per il cinema, però hanno tre telefonini e due televisori. E fanno i mutui per comprare orrende automobili vistose.
 Don Milani ha scritto parole sante :"la pubblicità si chiama persuasione occulta quando convince i poveri che cose non necessarie sono necessarie"[2].
E Zafón"Il sistema migliore per rendere inoffensivi i poveri è insegnare loro a imitare i ricchi"[3].
Questa smania consumistica inoculata nei più come un germe patogeno letale, è arrivata a inficiare perfino l’istinto più forte di noi umani.
Il calo demografico non è solo un tramontare delle nascite, ma un declino dell’amore, nel senso di intesa tra un uomo e una donna e nel senso di desiderio. Quello che era, doveva essere, l’eterno richiamo dei sessi, ora ha bisogno del viagra. Provate a pensare che cosa significa! Vuol dire andare contro natura.
Il problema di fondo, e questo è il mio giudizio, la mia krivsi~ ( krísis), è che la maggior parte degli italiani manca di educazione e istruzione: la scuola non funziona, o funziona male; la televisione non informa e non educa come potrebbe fare. Pasolini parlò addirittura di “genocidio culturale” in un contesto più ampio che opponeva lo sviluppo materiale,  ancora in corso nel 1975, al progresso culturale, estetico, morale, già allora inesistente:"E' in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani"[4].
Pasolini aveva capito e “sapeva”. Sapeva tante cose scomode al potere: per questo l’anno ammazzato quella lugubre notte di novembre.
Ora è un vecchio che scrive, un vecchio che da giovane ha visto uno dei suoi maestri fisicamente disfatto dai sicari di un potere furente.
La maggior parte della gente non legge, e, pertanto, ha la mente infarcita dei luoghi comuni della pubblicità che incita al consumo di oggetti per lo più inutile se non anche dannosi, allo spreco, e insegna con metodo criminale, il disprezzo di chi non è bello, non è giovane, non è ricco. Molte persone, troppe, hanno messo il cervello in soffitta. Lo stile volgare della réclame è stato assunto, per ignoranza, dagli sprovvisti di buone letture, e, maliziosamente, dai politici che li assecondano. Imperversano i luoghi comuni che hanno esautorato la capacità critica, di giudizio.
Faccio un esempio: i partiti si vantano di avere messo in lista le donne e i giovani, o, unificando le due categorie, tante giovani donne. Ora, criticamente, chiedo: non sarebbe necessario per lo meno aggiungere “oneste, preparate,  capaci”? Che siano giovani e belle non guasta, per carità, ma non è necessario per governare un popolo.
 Nel governo Berlusconi e nei consigli regionali abbiamo visto giovani donne che magari erano bellocce ma non avevano particolari talenti per dirigere una nazione o amministrare una regione. Certamente i De Gasperi, i Moro, i Berlinguer, sebbene maschi, sebbene attempati, erano più adatti a farlo. Da questi, quando ero bambino, poi  da ragazzo, da adulto, ho imparato qualche cosa; dalle giovani donne, da Maria Stella Gelmini, e, a fortiori, da Nicole Minetti non ho imparato niente, niente di buono. Un politico, dico, deve essere anche un saggio e un educatore. Un uomo e una donna devono essere delle persone, con delle qualità, delle capacità, dell’umanità, prima che dei personaggi, delle maschere da commedia.
Una donna compiuta, una persona dalla quale mi sarei sentito onorato di essere governato, o di essere invitato a cena, era Rita Levi Montalcini.
Questo è un giudizio modesto, da persona qualunque, eppure i pifferai di tutti i partiti incantano le teste vuote soffiando nel piffero delle banalità e delle menzogne. La più grossa di tutte, continuamente sbandierata, è che siamo stati salvati dal baratro. Io personalmente, e come me tante persone, la stragrande maggioranza di noi Italiani, gente brava ma a volte ingenua e credulona, siamo stati impoveriti e non di poco. Ora in conclusione, siamo più poveri in molti, noi sfortunati molti, sventurati troppi, mentre gli speculatori delle banche, della finanza, i padroni del mercato, si arricchiscono a dismisura, e i loro cani, sciacalli e iene da guardia, cui gettano gli ossi del banchetto trimalcionesco ,  se la ridono,  alle nostre spalle. E magari si credono pure il sale della terra.
  [ Errete, andate  in malora voi, prole funesta dell’avidità, della malizia e dell’ignoranza,  prima di mandare del tutto in rovina questa nostra bella terra così sinistramente sconciata dai vostri  innumerevoli misfatti!

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1]  Timone d'Atene,  (IV, 3).

[2]Lettera a una professoressa , nota 56 di p. 69.
[3] Carlos Ruiz Zafòn, L'ombra del vento, p. 187.
[4] Scritti corsari, p. 286.

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